È molto difficile risalire alle origini del lavoro a maglia. Sono state trovate sculture che risalgono al IV secolo a.C. le quali fanno ipotizzare che il lavoro a maglia fosse parte integrante della vita quotidiana. Un esempio è la statua greca di Kore esposta all’interno del Museo del Partenone (ATENE) , poiché sembra indossare un maglione come quello dei nostri tempi.
Un altro reperto significativo è stato trovato in Siria, tra le rovine di Dura-Europas, che presenta una tecnica molto simile a quella del ferro circolare. Tuttavia, uno studioso Inglese, nella sua “A History of Handknitting” sostiene che il frammento di Dura non sia stato lavorato a maglia ma con una tecnica ancora più arcaica che prevede l’uso di un ago, si ipotizza anche che sia stato utilizzato un attrezzo simile all’uncinetto tunisino, molto diffuso nell’area mediterranea.
L’aver trovato molti reperti nell’area medio-orientale fa pensare che la lavorazione a maglia abbia origini indoeuropee, ciò è suggerito anche dal termine sanscrito nahyat (lavoro a maglia , rete all’uncinetto) da cui deriva il termine anglosassone ketten, fino ad arrivare al termine in inglese moderno knitting.
Con il passare dei secoli, la lavorazione a maglia venne praticata con obiettivi diversi da quelli dell’antichità: non serviva più ai pescatori per dar vita alle reti da pesca, non era più una tecnica destinata a realizzare capi di abbigliamento per le cerimonie sacre, e soprattutto non era più un mestiere esclusivamente maschile, ma si diffuse anche tra le donne, assumendo la connotazione di hobby passatempo.
La cultura dell’hobby fu infatti una conseguenza domestica dell’Ottocento, mentre gli uomini andavano a lavorare, le donne rimanevano a casa a badare alla famiglia, e per passare il tempo realizzavano corredi per neonato, sciarpe leggere e traforate, bordure e magliette. Non si lavorava più per professione ma per il piacere di realizzare con le proprie mani qualcosa di bello.
Agli inizi del 1900, la maglia entra nel mondo della moda e gli stilisti si mostrano sempre più interessati alla lavorazione a maglia essendo una tecnica versatile con la quale è possibile realizzare qualsiasi cosa.
Negli anni ’20, la prima a lanciare la maglia sulle passerelle fu Elsa Schiaparelli, presentando a Parigi la sua prima collezione composta da modelli realizzati ai ferri con la tecnica della maglia doppia.
Negli anni ’30, troviamo in Anita Pittoni il connubio tra moda e avanguardia, con l’uso materiali poveri e filati grezzi. A lei, inoltre, dobbiamo l’uso di filati artificiali (Rayon e Lanital) che segnarono una svolta nella lavorazione a maglia, non più prettamente domestica.
Durante le due guerre mondiali la moda ne risentì, e i tessuti a maglia vennero utilizzati per vestire le truppe al fronte, ma fu solo dopo il secondo conflitto mondiale che il tricot ritrovò nuovo vigore.
Negli anni ’50, infatti, iniziò l’ascesa di Ottavio Missoni che con la moglie Rosita creò sovrapposizioni di colori, punti, fantasie a righe, a zigzag, ondulati, presentando la sua prima collezione nel ’66, definita di “rottura” per il modo particolare con cui venne proposta la maglia rispetto ai canoni tradizionali.
Negli anni ’70 si registrò il boom: tutte le donne lavoravano ai ferri o all’uncinetto e le edicole pullulavano di riviste e inserti enciclopedici di maglia. In quegli anni entrò in scena anche Brunello Cucinelli il quale acquistò il castello trecentesco di Solomeo trasformandolo nella nuova sede aziendale.
Cucinelli è stato il primo a colorare il cashmere cambiando le regole dell’eleganza. L’idea gli venne osservando un giovane imprenditore, Luciano Benetton, che aveva avuto successo colorando la pura lana vergine. Il suo segreto risiede proprio nell’aver rimesso l’uomo al centro, rispettando la creatività di ogni dipendente. Il nuovo orientamento dell’economia, infatti sta puntando proprio sulla valorizzazione dell’uomo come mezzo per migliorare l’impresa.
Nell’era contemporanea la maglia si è trasformata in opera d’arte, ci sono stilisti molto giovani che stanno tentando di rivalorizzare la lavorazione a maglia, sfruttando appieno tutte le risorse che questa tecnica è in grado di offrire, sperimentando linee innovative e all’avanguardia.
Al momento, quindi, stiamo assistendo a una sorta di revival del lavoro a maglia che non è più considerato solo ed esclusivamente come un passatempo ma, grazie al web e ai social network, è diventato uno stimolo di aggregazione tra persone che condividono la stessa passione.
È l’era della neo-maglieria in cui i capi non sono più necessari esclusivamente a riscaldarci, ma sono diventati fantastici pezzi da ammirare, dotati di valore artistico e culturale.
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