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Non stavamo più nella pelle e non vedevamo l’ora di potervi dire che da oggi la nostra proposta si arricchisce di una CAPSULE COLLECTION di Lana Grossa, nome notissimo a tutte voi knitters! Ci siamo letteralmente innamorate della loro proposta che è in totale allineamento con la nostra scelta di proporre filati di qualità, realizzati in Italia.

Pur avendo la propria sede in Germania, Lana Grossa produce infatti tutti i suoi filati in Italia, utilizzando lane di qualità e dal percorso certificato.

Speriamo che la nostra scelta vi piaccia, noi ne siamo pazze!

Buon knitting!

È molto difficile risalire alle origini del lavoro a maglia. Sono state trovate sculture che risalgono al IV secolo a.C. le quali fanno ipotizzare che il lavoro a maglia fosse parte integrante della vita quotidiana. Un esempio è la statua greca di Kore esposta all’interno del Museo del Partenone (ATENE) , poiché sembra indossare un maglione come quello dei nostri tempi.

Un altro reperto significativo è stato trovato in Siria, tra le rovine di Dura-Europas, che presenta una tecnica molto simile a quella del ferro circolare. Tuttavia, uno studioso Inglese, nella sua “A History of Handknitting” sostiene che il frammento di Dura non sia stato lavorato a maglia ma con una tecnica ancora più arcaica che prevede l’uso di un ago, si ipotizza anche che sia stato utilizzato un attrezzo simile all’uncinetto tunisino, molto diffuso nell’area mediterranea.

L’aver trovato molti reperti nell’area medio-orientale fa pensare che la lavorazione a maglia abbia origini indoeuropee, ciò è suggerito anche dal termine sanscrito nahyat (lavoro a maglia , rete all’uncinetto) da cui deriva il termine anglosassone ketten, fino ad arrivare al termine in inglese moderno knitting.

Con il passare dei secoli, la lavorazione a maglia venne praticata con obiettivi diversi da quelli dell’antichità: non serviva più ai pescatori per dar vita alle reti da pesca, non era più una tecnica destinata a realizzare capi di abbigliamento per le cerimonie sacre, e soprattutto non era più un mestiere esclusivamente maschile, ma si diffuse anche tra le donne, assumendo la connotazione di hobby passatempo.

La cultura dell’hobby fu infatti una conseguenza domestica dell’Ottocento, mentre gli uomini andavano a lavorare, le donne rimanevano a casa a badare alla famiglia, e per passare il tempo realizzavano corredi per neonato, sciarpe leggere e traforate, bordure e magliette. Non si lavorava più per professione ma per il piacere di realizzare con le proprie mani qualcosa di bello.

Agli inizi del 1900, la maglia entra nel mondo della moda e gli stilisti si mostrano sempre più interessati alla lavorazione a maglia essendo una tecnica versatile con la quale è possibile realizzare qualsiasi cosa.

Negli anni ’20, la prima a lanciare la maglia sulle passerelle fu Elsa Schiaparelli, presentando a Parigi la sua prima collezione composta da modelli realizzati ai ferri con la tecnica della maglia doppia.

Negli anni ’30, troviamo in Anita Pittoni il connubio tra moda e avanguardia, con l’uso materiali poveri e filati grezzi. A lei, inoltre, dobbiamo l’uso di filati artificiali (Rayon e Lanital) che segnarono una svolta nella lavorazione a maglia, non più prettamente domestica.

Durante le due guerre mondiali la moda ne risentì, e i tessuti a maglia vennero utilizzati per vestire le truppe al fronte, ma fu solo dopo il secondo conflitto mondiale che il tricot ritrovò nuovo vigore.

Negli anni ’50, infatti, iniziò l’ascesa di Ottavio Missoni che con la moglie Rosita creò sovrapposizioni di colori, punti, fantasie a righe, a zigzag, ondulati, presentando la sua prima collezione nel ’66, definita di “rottura” per il modo particolare con cui venne proposta la maglia rispetto ai canoni tradizionali.

Negli anni ’70 si registrò il boom: tutte le donne lavoravano ai ferri o all’uncinetto e le edicole pullulavano di riviste e inserti enciclopedici di maglia. In quegli anni entrò in scena anche Brunello Cucinelli il quale acquistò il castello trecentesco di Solomeo trasformandolo nella nuova sede aziendale.

Cucinelli è stato il primo a colorare il cashmere cambiando le regole dell’eleganza. L’idea gli venne osservando un giovane imprenditore, Luciano Benetton, che aveva avuto successo colorando la pura lana vergine. Il suo segreto risiede proprio nell’aver rimesso l’uomo al centro, rispettando la creatività di ogni dipendente. Il nuovo orientamento dell’economia, infatti sta puntando proprio sulla valorizzazione dell’uomo come mezzo per migliorare l’impresa.

Nell’era contemporanea la maglia si è trasformata in opera d’arte, ci sono stilisti molto giovani che stanno tentando di rivalorizzare la lavorazione a maglia, sfruttando appieno tutte le risorse che questa tecnica è in grado di offrire, sperimentando linee innovative e all’avanguardia.

Al momento, quindi, stiamo assistendo a una sorta di revival del lavoro a maglia che non è più considerato solo ed esclusivamente come un passatempo ma, grazie al web e ai social network, è diventato uno stimolo di aggregazione tra persone che condividono la stessa passione.

È l’era della neo-maglieria in cui i capi non sono più necessari esclusivamente a riscaldarci, ma sono diventati fantastici pezzi da ammirare, dotati di valore artistico e culturale.

(Copyright: handmadeinitaly.it)

Un campione in tribuna sferruzza per tenere sotto controllo lo stress delle competizioni olimpiche. Questa è l’immagine che ha fatto il giro del mondo ai giochi olimpici di Tokyo 2020: il protagonista è Tom Daley, medaglia d’oro nei tuffi sincronizzati, campione olimpico e gay, “orgoglioso di essere entrambe le cose”. Immagini diventate virali quelle di Tom con i ferri in mano, la sua grande passione, come si può ammirare nel profilo Instagram @madewithlovebytomdaley ricco di un campionario di lavori di ogni tipo: maglioni, coperte, copri teiere, plaid, pupazzi, unicorni. «Da anni mi applico al lavoro a maglia, e durante il lockdown mi sono perfezionato perché ho avuto ancora più tempo a disposizione» ha dichiarato il tuffatore. Il lavoro a maglia, fino a qualche anno fa considerato sulla strada del tramonto, retaggio delle nonne e delle vecchie zie, è tornato alla ribalta in molte nuove e inattese declinazioni, spesso ribattezzato con il suo nome anglosassone knitting. Per fare qualche esempio Julia Roberts ha comprato i diritti del best seller “Le amiche del venerdì sera” di Kate Jacobs, che ruota intorno alla maglia, per farne un film e attrici del calibro di Cameron Diaz, Sharon Stone e Sarah Jessica Parker pare portino con sé ferri e gomitoli sul set.

Un potente anti stress
È ormai provato che lavorare a maglia aiuta a combattere stress, ansia, depressione e alleviare il dolore fisico. I movimenti regolari ripetuti, il vedere la propria creazione prendere forma lentamente, sono in grado di distogliere l’attenzione da ciò che ci affligge. Sferruzzare induce una sensazione di relax: è stato dimostrato che la tensione muscolare si allenta, la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna diminuiscono, con un meccanismo simile a quello che avviene nella meditazione. In più si può lasciare libera la creatività e l’inventiva personale. Da questa convinzione è nato il progetto Gomitolorosa che promuove il lavoro a maglia per favorire il benessere dei pazienti impegnati in terapie mediche nonché la solidarietà verso soggetti più deboli, facendo leva sul recupero delle lane autoctone e sulla salvaguardia dell’ambiente. Gomitolorosa nasce nel 2012 da un’idea del dottor Alberto Costa, riconosciuto a livello internazionale per il suo contributo alla cura dei tumori al seno, per le idee innovative nel campo della comunicazione scientifica e dell’insegnamento ai medici e per l’innalzamento degli standard delle cure mediche (www.gomitolorosa.org).

Insieme è meglio
Se sono passati i tempi in cui nelle famiglie numerose la sera le donne si riunivano per fare la maglia, l’uncinetto o il ricamo, il desiderio di condividere momenti di lavoro manuale non è venuto meno nelle nuove generazioni, così sono nati circoli, club e gruppi di lavoro negli ambienti più disparati: biblioteche, negozi, librerie, associazioni, centri ricreativi, knit cafè. Una volta la tecnica si tramandava da madre in figlia o da nonna a nipote, ora si seguono corsi collettivi o ci si perfeziona grazie all’ampia offerta web di tutorial, lezioni, guide. L’incontro della tecnologia con attività tradizionali come il lavoro a maglia ha prodotto una sorta di “globalizzazione delle tecniche”. Un tempo ogni Paese o addirittura ogni regione si distingueva per certi accorgimenti tecnici, dal tipo di ferri al modo per impugnarli o di passare il filo, oggi il web ha mescolato le carte. Ne sono un esempio l’affermazione della modalità con i ferri in grembo, il ferro circolare e i maglioni top down (lavorati in modo circolare a partire dal collo verso i polsi e la vita, mentre tradizionalmente in Italia si lavoravano le varie parti dal basso verso l’alto e poi si cucivano insieme).

Un filo che unisce
E non è ancora tutto. Oltre a favorire occasioni per stare in compagnia e per rilassarsi, lavorare a maglia sempre più spesso permette di contribuire anche a buone cause. I progetti solidali basati su lavori a maglia collettivi o condivisi stanno vedendo una grande espansione. Pensiamo ad esempio a Viva Vittoria, nato a Brescia nel 2015, dove un gruppo pilota di donne ha cominciato a produrre quadrati di maglia di misura standard, a raccoglierli e cucirli per fare coperte da stendere in una piazza (Piazza della Vittoria per l’appunto) dove venivano vendute per sostenere la lotta alla violenza contro le donne e sensibilizzare su questo tema. Negli anni seguenti molte città hanno seguito l’esempio di Brescia, ci sono state ormai 12 edizioni, tra le quali anche quella di Bergamo. O ancora Sheep, un’associazione senza fine di lucro fondata dal giornalista Saverio Tommasi con lo scopo di insegnare gratuitamente a lavorare a maglia a persone in situazioni di fragilità che tentano di riprendere in mano la propria vita e per distribuire coperte ai senza tetto (www.sheepitalia.it).

(Copyright: bgsalute.it)

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